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Accadde oggi: 24 dicembre

Accadde oggi: 24 dicembre

Almanacco del 24 dicembre, anno 1598: si verifica la più devastante delle piene del Tevere da che si ha memoria. Le acque fluviali sommersero la città quasi per intero, causando danni incalcolabili ad opere, infrastrutture, edifici civili e pubblici, arrivando a mietere persino vittime. La piena tiberina del 24 dicembre 1598 segnò l’Urbe profondamente, e la città eterna, a distanza di oltre quattro secoli, conserva le cicatrici di quel catastrofico evento. Basta essere attenti, poiché Roma parla solo a chi ha voglia di ascoltare le sue affascinanti storie.

Accadde oggi: 24 dicembre

Che il Tevere abbia plasmato, e poi modellato, la plurimillenaria vita di Roma è un dato di fatto. Il mito fondativo parla proprio di una piena del fiume che condusse la cesta di Romolo e Remo fino al punto in cui la lupa li accolse, ai piedi del Palatino. Nessuno ha mai detto però che la cifra dell’unione sacra tra la città e il suo principale corso d’acqua sia d’amore, anzi. Il Tevere ha saputo essere irascibile, spudoratamente violento, portatore di caos, pestilenze e morte.

Accadeva – e non di rado – sin dall’antichità. Fino al XIX secolo i romani hanno conservato 120 targhe marmoree o di pietra in grado di raccontare il danno provocato dal fiume Tevere. La più antica sopravvissuta alle intemperie del tempo è del 1180. Si tratta di un’incisione su una colonna di marmo (conservata nel Museo di Palazzo Braschi). Ma la più devastante in assoluto avrebbe fatto il suo corso nella vigilia di Natale del 1598.

E a dire il vero, la tragedia non colse alla sprovvista la capitale dello Stato Pontificio. Secondo testimoni oculari dell’epoca, per tutto il mese di novembre e per buona parte di dicembre, le precipitazioni colpirono la regione, saturando il bacino idrografico del fiume (sull’Appennino centrale) e ingrossandone pericolosamente la portata. Bisogna anche dire come al tramonto del Cinquecento, il Tevere era un fiume privo di argini moderni e decisamente soggetto a variazioni improvvise.

24 dicembre targa piena Tevere 1598

Nella notte fra il 23 e il 24 dicembre, le continue piogge potenziarono i vari affluenti del Tevere (non solo l’Aniene, ma anche il Nera e il Velino) e la città di Roma, stretta artificialmente da mura e naturalmente dai colli, offrì il fianco alla catastrofe.

Pensate che la portata dell’acqua raggiunse i 4.000 m3/s (la portata media del Nilo è di circa 3000m3/s, giusto per fare un paragone da poco). Facendo affidamento sulle incisioni dell’epoca e dai segni di livello conservati su diversi edifici romani, si può affermare come la piena del Tevere del 1598 abbia raggiunto i 20 metri sopra lo zero idrometrico moderno. Record tutt’oggi imbattuto, per fortuna, se permettete un’aggiunta.

L’acqua dilagò in entrambi i rioni posti ai lati del fiume. In particolare colpì Campo Marzio, Sant’Angelo, Trastevere. Le colonne del Pantheon vennero bagnate fino a 6 metri. La Congregazione dell’Acqua segnalò la distruzione di ben nove molini. I romani videro addirittura l’acqua trascinare via i cadaveri prima sepolti entro il perimetro di Santa Maria dell’Anima, a pochi passi da Piazza Navona.

24 dicembre Ponte Rotto

Altri danni ingenti riguardarono i ponti dell’Urbe: Ponte Sisto subì danni strutturali alle spallette, ma a pagare il conto più salato fu quello che all’epoca tutti conoscevano come Ponte Senatorio, anche se per gli antichi era il Pons Aemilius (fatto costruire da Manlio Emilio Lepido intorno alla metà del II secolo a.C.).

Il più antico ponte in muratura della città di Roma perse tre delle sue sei arcate e da allora gli abitanti capitolini presero a chiamarlo Ponte Rotto. Ulteriore e originalissima testimonianza della piena tiburtina ci è offerta nientemeno che da Gian Lorenzo Bernini. Conoscete la Barcaccia, non c’è bisogno che ve la descriva; ebbene, si dice che ispirare l’eccelso scultore napoletano fu il relitto di un barcone trascinato dalle acque fino a Piazza di Spagna.

24 dicembre papa Clemente VIII Aldobrandini

Scampò per poco alla morte un personaggio illustre dell’altolocato panorama romano, il cardinale Pietro Aldobrandini, nipote favorito dell’allora papa Clemente VIII, al secolo Ippolito Aldobrandini. Il cardinale nipote, volendo partecipare ai soccorsi, si trovava al centro del Ponte Palatino. La massa d’acqua sfasciò le due testate, risparmiando l’arco centrale, dove si trovava il porporato. Se guardate bene, ancora oggi esso riemerge a poca distanza dell’isola Tiberina.

La furia del Tevere si placò solamente il 26 di dicembre, dando tempo alle autorità pontificie di fare la conta dei danni materiali. Le 12 lapidi commemorative dell’evento sparse per il centro di Roma sono un indicatore di quanto fu tremendo l’impatto.