Storia Che Passione
Accadde oggi: 22 dicembre

Accadde oggi: 22 dicembre

Almanacco del 22 dicembre, anno 1849: l’autorità zarista comunica la revoca della pena capitale allo scrittore Fëdor Dostoevskij e agli altri venti imputati; ciò accade mentre sono sul patibolo, prossimi ad accogliere la morte. Il 22 dicembre 1849 Dostoevskij sperimentò il Castigo, malgrado non avesse commesso alcun Delitto. L’episodio segnerà la sua vita per sempre, ispirando riflessioni autentiche su tematiche quali la pena di morte, il valore della vita umana, e generando in lui ricadute gravose sul piano psico-fisico.

Accadde oggi: 22 dicembre

Il 23 aprile di quell’anno, la gendarmeria zarista preleva Fëdor Michajlovič Dostoevskij dalla sua abitazione a San Pietroburgo. Lo costringe alla cattività nella fortezza di Pietro e Paolo, quella che per tanti sarà la Bastiglia di Russia. L’accusa è semplice e diretta: avendo partecipato alle riunioni – tutt’altro che segrete, tutt’altro che eversive – del circolo Petraševskij, dovrà pagare con la vita l’affronto all’autocrazia zarista. Ma quali erano le discussioni affrontate all’interno del circolo e perché l’imperatore Nicola I Romanov si adoperò così tanto per sopprimerlo.

Basta anche solo ricordare la vicinanza cronologica fra l’arresto di Dostoevskij e il Quarantotto per capire in anticipo dove si va a parare. Il circolo Petraševskij altro non era che un gruppo di dibattito intellettuale, dall’animo progressista ovviamente, attivo nella città di San Pietroburgo negli anni ’40 del XIX secolo. Le fonti divergono sull’entità e sul grado della partecipazione di Dostoevskij ai confronti. Ci sono storici che vedono in Dostoevskij un “semplice uditore” e non un agitatore politico nel pieno senso della parola. Altri studiosi calcano un po’ più la mano su suoi presunti interventi a difesa della libertà di pensiero, o a condanna della servitù della gleba, della censura, della gravosità del servizio militare zarista. La verità, a mio parere, sta nel mezzo.

22 dicembre fortezza di Pietro e Paolo

Il fatto concreto resta sempre quello: in virtù di questa adesione – da incuriosito ascoltatore o da energico oratore, poco importa – e sulla base dei recentissimi accadimenti europei, la Russia plasmata dall’assolutismo degli zar si decise ad intervenire per scongiurare possibili focolai rivoluzionari.

Il 16 novembre 1849 si comunicò al giovane autore la sentenza del tribunale militare – Dostoevskij aveva servito per tre anni come ufficiale, dal ’41 al ’44 – e il 22 dicembre lo condussero nella piazza centrale della fortezza dei Santi Pietro e Paolo. Prima gli lessero la sentenza, e poi, seguendo pedissequamente i canoni del cerimoniale riservato ai nobili, spezzarono gli spadini sopra la sua testa. Lo vestirono subito dopo con la tunica bianca di chi conosce l’ora esatta in cui varcherà la soglia dell’altro mondo. Un militare lo legò ad un palo: sesto della fila, secondo terzetto. Con i fucili puntati distanti solo 15 passi, l’autore russo pensò solo al fratello Michail e al bene che gli voleva.

22 dicembre esecuzione 1849 circolo Petraševskij

Prima che le bocche di fuoco potessero tuonare, una guardia lesse il proclama che annunciò la grazia imperiale. Era stata già diramata il 19 dicembre, ma ai condannati non fu appositamente detto nulla. La grazia consisteva nella commutazione della pena: lavori forzati e deportazione in Siberia. Lo zar Nicola I commentò il fascicolo di Dostoevskij con un laconico (adesso sappiamo cosa significa laconico…) “Per quattro anni. Poi soldato semplice senza diritto di promozione”.

Due giorni dopo la grazia, iniziò il tribolato viaggio verso nord-est, in direzione della gelida Siberia. Il 17 gennaio lo rinchiusero nella fortezza di Omsk, dove vi rimarrà per quattro anni, come previsto. A seguito verrà irreggimentato come soldato semplice nel 7º battaglione siberiano, di stanza nella città di Semipalatinsk, vicino al confine cinese.

22 dicembre Dostoevskij in uniforme militare anni '50 XIX secolo

L’intera esperienza, dalla mancata fucilazione agli anni duri dell’internamento siberiano, segnarono profondamente la salute, il pensiero e la psiche dell’autore natio di Mosca. L’aver sfiorato la morte il 22 dicembre 1849 cronicizzò l’epilessia che già lo perseguitava da qualche anno. Rivivrà più volte, anche se nei panni dei personaggi romanzeschi, il trauma di quei momenti. In bocca al principe Myškin, ne L’idiota, metterà le seguenti parole:

«Leggete a questo soldato la sentenza che lo condanna con certezza, e impazzirà o si metterà a piangere. Chi ha detto che la natura umana è in grado di sopportare questo senza impazzire? Perché un affronto simile, mostruoso, inutile, vano? Forse esiste un uomo al quale hanno letto la sentenza, hanno lasciato il tempo di torturarsi, e poi hanno detto: ‘Va’, sei graziato: ecco un uomo simile forse potrebbe raccontarlo’».