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Foto del giorno: l'Afghanistan delle donne

Foto del giorno: l’Afghanistan delle donne

Fotografia di Agence France-Presse (AFP), Kabul, Afghanistan, gennaio 1962. Due studentesse di medicina (a sinistra e al centro) ascoltano la loro professoressa alla Facoltà di Medicina dell’Università di Kabul, mentre esaminano un plastico che mostra una parte del corpo umano. Conoscendo anche solo di sfuggita l’odierna situazione socio-politica del Paese in Asia meridionale, si interpreta la fotografia come traccia di un passato lontanissimo, eppure così moderno e libero. Paradossi di una storia fra le più intricate al mondo.

Foto del giorno: l'Afghanistan delle donne

Nulla, nella scena qui sopra proposta, lascia pensare all’immagine che oggi associamo all’Afghanistan, uno Stato spesso accostato a termini quali “segregazione” e “oscurantismo”. Eppure, la fotografia resa pubblica dall’Agence France-Presse è autentica. Negli anni ’60, Kabul era una capitale aperta, colta, in rapido sviluppo, dove le donne potevano studiare, lavorare e partecipare alla vita pubblica. L’Afghanistan di allora, sotto la monarchia di Mohammed Zahir Shah, stava attraversando una stagione di riforme che mirava alla modernizzazione del Paese. Soprattutto alla costruzione di un’identità nazionale proiettata verso la modernità, pur senza rinnegare le tradizioni islamiche.

Tra gli anni ’50 e ’70, la società afghana viveva un fermento culturale senza precedenti. La capitale, Kabul, divenne un crocevia di studenti, artisti, diplomatici e viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. Le università erano frequentate da un numero crescente di donne. Un dato esemplificativo può tornarci utile. Al 1975, le donne rappresentavano circa il 40% dei medici, il 70% degli insegnanti e il 15% dei parlamentari del Paese.

Afghanistan donne passeggiano Kabul anni '70

Le fotografie di quegli anni mostrano ragazze che camminano tra i viali alberati dell’università con i libri sotto braccio, giovani dottoresse negli ospedali pubblici, giornaliste nelle redazioni radiofoniche, e deputate che partecipano ai dibattiti nell’Assemblea Nazionale. L’istruzione femminile era considerata un pilastro del progresso nazionale, sostenuta dallo stesso governo e da organizzazioni internazionali.

La Costituzione del 1964, promulgata sotto il regno di Zahir Shah, riconobbe per la prima volta il diritto di voto e di candidatura alle donne afghane, un risultato che, nel contesto mediorientale, collocava l’Afghanistan tra i Paesi più avanzati della regione. Ma quell’equilibrio fragile si spezzò bruscamente. Negli anni ’70, il Paese entrò in una spirale di instabilità politica. Nel 1973 il re fu deposto da un colpo di Stato guidato dal cugino, Mohammad Daoud Khan, e pochi anni dopo, nel 1978, un altro golpe – questa volta di ispirazione comunista – instaurò un regime filo-sovietico.

Afghanistan manifestazioni donne 1979

Seguì l’invasione dell’Unione Sovietica (1979), che trasformò l’Afghanistan in uno dei campi di battaglia più sanguinosi della Guerra Fredda. Le milizie islamiche, i mujaheddin, sostenuti dagli USA, dal Pakistan e dall’Arabia Saudita, combatterono per anni contro l’occupazione sovietica. In questo clima di violenza e radicalizzazione, i diritti conquistati dalle donne scomparvero uno dopo l’altro, travolti da una guerra che distrusse le istituzioni, le scuole e la società civile.

Nel 1994, nel caos della guerra civile, nacque un nuovo movimento: i Talebani, studenti delle madrase pakistane, molti dei quali ex combattenti mujaheddin. Si presentarono come forza purificatrice, desiderosa di ristabilire l’ordine e la moralità islamica. Ma nel giro di pochi anni, la loro visione rigida della Shari’a trasformò l’Afghanistan in una prigione per metà della popolazione: le donne.

Quando presero il potere nel 1996, i Talebani bandirono ogni forma di libertà femminile. Le bambine furono espulse dalle scuole, le donne cacciate dai posti di lavoro, dai tribunali, dagli ospedali e dalle università. Chi trasgrediva, andava incontro ad aspre e pubbliche punizioni. Si arrivò perfino a coprire le finestre delle case di Kabul, affinché gli uomini non potessero vedere le donne dall’esterno.

Afghanistan donna scrive lavagna

Un gesto banale, come indossare lo smalto sulle unghie, poteva costare caro. È del 1996 il caso di una donna punita con l’amputazione della punta del pollice. Perché? Osò mettere lo smalto. Chi difendeva i diritti femminili rischiava la prigione o la morte.

Alla luce di tutto questo, la fotografia del 1962 assume un valore struggente. Quelle tre donne di scienza e di medicina, sorridenti e concentrate sui loro studi e sulle loro ricerche, diventano simbolo di un’Afghanistan possibile, che è realmente esistito, ma che decenni di guerra e fanatismo hanno soffocato. Il loro sguardo assorto racconta una fiducia nel futuro che oggi sembra lontana, ma che continua a vivere nella memoria collettiva di un popolo che non ha mai smesso di sognare la libertà.