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Foto del giorno: le vite spezzate di Marcinelle

Foto del giorno: le vite spezzate di Marcinelle

Fotografia di Antoine Rulmont, centro carbonifero di Bois du Cazier, Marcinelle, Belgio, agosto 1956. Familiari dei minatori coinvolti nell’incidente attendono notizie da parte delle locali forze dell’ordine. Per molti di quei parenti fu un’attesa snervante, tetra per via delle previsioni, che tutto potevano essere tranne che ottimistiche.

Foto del giorno: le vite spezzate di Marcinelle

L’8 agosto 1956, nel cuore della Vallonia, la regione mineraria del Belgio meridionale, la miniera di Bois du Cazier, alla periferia di Marcinelle, divenne teatro di una delle più terribili tragedie industriali del Novecento. L’orologio segnava le 8 e 10 minuti del mattino. Ora fatale. A causa di un errore di comunicazione fra il personale in superficie e i minatori nel sottosuolo, il montacarichi principale venne azionato nel momento sbagliato. L’urto del macchinario contro una trave d’acciaio tranciò diversi cavi vitali. Uno era quello dell’alta tensione, poi una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.

In pochi secondi, le scintille elettriche incendiarono 800 litri di olio nebulizzato, generando un inferno che si propagò a 975 metri di profondità. Le gallerie si trasformarono in una trappola di fumo e gas tossici. 262 minatori non riuscirono più a risalire. Quando, due settimane dopo, i soccorritori riemersero con la tragica constatazione “Tutti cadaveri!”, il Belgio e l’Italia si trovarono uniti nel lutto e nello sdegno.

Tra i 262 morti, 136 erano italiani, emigrati dal Sud e dal Nordest d’Italia per cercare lavoro e dignità in una terra lontana. Provenivano da regioni come l’Abruzzo, la Sicilia, il Veneto, la Sardegna. Erano parte dei 140.000 italiani che, nel decennio successivo alla guerra, avevano attraversato le Alpi grazie a un accordo economico tra i due Paesi. Per ogni minatore inviato in Belgio, l’Italia riceveva 200 chilogrammi di carbone al giorno. Un baratto tragico, che legava il destino di migliaia di uomini alla ricostruzione industriale dell’Europa del dopoguerra.

Marcinelle miniera disastro 1956

La miniera di Marcinelle divenne così il simbolo della condizione dell’emigrazione italiana, fatta di sacrificio, pericolo e speranza. Il processo che seguì (concluso nel 1964 con una sola condanna a sei mesi con la condizionale per un ingegnere…) lasciò l’amaro sapore dell’impunità. Ma il ricordo di quelle vite perdute rimase impresso nella memoria collettiva. Nel 2002 il sito del Bois du Cazier è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità UNESCO, a testimonianza di un dramma che travalicò i confini nazionali.

In questo contesto si colloca la fotografia scattata da Antoine Rulmont, che riuscì a fissare in un solo istante l’essenza umana della tragedia. L’immagine, in bianco e nero, mostra alcune donne aggrappate alle grate del cancello della miniera, mentre di fronte a loro un gendarme, riconoscibile dal casco e dalla divisa, tenta di contenerle o forse semplicemente di consolarle.

Le sbarre di ferro dominano la composizione. Sono verticali, rigide, taglienti, e per questo separano due mondi: inevitabilmente quello dei vivi e quello dei morti. Rispettivamente le sfere della speranza e della disperazione. Poi i volti delle donne, i quali sono rigati dalle ombre delle grate, come se il lutto stesso fosse una prigione. La fotografia non mostra il fuoco, né la miniera, né il caos dei soccorsi. Mostra l’attesa, straziante a dir poco. Attimi cruciali in cui il dolore si consuma lentamente.

Marcinelle immigrazione italiana secondo dopoguerra

Rulmont non era un fotoreporter di guerra, ma in questa immagine raggiunse un’intensità emotiva pari alle più grandi icone del fotogiornalismo del Novecento. A quasi settant’anni di distanza, la fotografia di Rulmont resta una delle più potenti testimonianze visive della tragedia di Marcinelle. È un’immagine che non ha bisogno di parole. Basta il gesto delle mani che si aggrappano alle sbarre per esprimere il dolore di un popolo, la disperazione di una moglie o di una madre, la rabbia di un’intera nazione.