Almanacco del 15 settembre, anno 2008: la società finanziaria Lehman Brothers dichiara la bancarotta. Si tratta di un evento epocale, per diversi motivi. È anzitutto il fallimento di una delle banche d’affari più antiche e prestigiose degli Stati Uniti d’America, nonché il crack finanziario più grande – per volume d’affari – della storia globale. Fu poi l’acme di una crisi economica scoppiata due anni prima, nel 2006, e proseguita per oltre un quinquennio (con strascichi ravvisabili anche a oltre un decennio di distanza). Per questo motivo alcuni storici ed economisti inquadrano la Grande Recessione (Great Recession) come una delle peggiori crisi economiche della storia, seconda solo alla Grande depressione dei primi decenni del XX secolo.

Per capire come si arrivò al disastro del 15 settembre 2008 bisogna fare un passo indietro. Tra la fine degli anni ’90 e i primi ‘2000, il mercato immobiliare americano viveva una fase di espansione senza precedenti. Le banche, approfittando dei bassi tassi d’interesse decisi dalla Federal Reserve dopo la crisi dell’11 settembre 2001, iniziarono a concedere mutui con grande facilità. Non solo alle famiglie con buone garanzie, ma anche a chi non avrebbe mai avuto accesso al credito in condizioni normali. Nascevano così i famigerati mutui subprime, prestiti ad alto rischio con tassi d’interesse inizialmente bassi, ma destinati a crescere vertiginosamente negli anni successivi.
Per un po’ il sistema sembrò funzionare: più mutui significavano più case acquistate, e i prezzi salivano senza sosta. Le banche confezionavano questi mutui in pacchetti finanziari complessi e li rivendevano agli investitori di tutto il mondo, convinte di aver trovato una miniera d’oro. Ma era una crescita drogata, una vera e propria bolla. Quando nel 2006 la Federal Reserve cominciò ad alzare i tassi, la magia svanì. Le rate dei mutui aumentarono, sempre più famiglie non riuscirono a pagare e il valore delle case crollò. Ciò che era stato spacciato per investimento sicuro si rivelò improvvisamente carta straccia.

La Lehman Brothers fu una delle banche più esposte a questo meccanismo. Nei primi mesi del 2008 le sue perdite erano ormai gigantesche. Miliardi di dollari bruciati in pochi trimestri, azioni crollate in Borsa, e investitori in fuga. I tentativi di trovare un acquirente fallirono. Né banche asiatiche, né colossi americani, né l’inglese Barclays accettarono di caricarsi sulle spalle quel peso. Alla fine, la banca si ritrovò sola davanti al baratro.
Così, nella notte tra il 14 e il 15 settembre 2008, arrivò l’annuncio: Lehman Brothers dichiarava bancarotta, chiedendo la protezione del Chapter 11. In un colpo solo sparivano 613 miliardi di dollari di debiti, 26 mila posti di lavoro e la fiducia nel sistema finanziario globale.
Le conseguenze furono immediate e devastanti. I mercati precipitarono. Il Dow Jones registrò il peggior ribasso dalla tragedia dell’11 settembre, e il panico si diffuse ovunque. In pochi giorni la crisi si trasformò in una recessione mondiale. Con milioni di persone che persero il lavoro; le borse bruciarono migliaia di miliardi, e il sistema bancario si trovò sull’orlo del collasso.

Quello che accadde dopo fu un gigantesco intervento dei governi e delle banche centrali. Negli Stati Uniti, in Europa e in Asia si mise mano al portafoglio pubblico per salvare le banche considerate “too big to fail”, troppo grandi per essere lasciate affondare. E allo stesso tempo si introdussero nuove regole, imponendo maggiori garanzie patrimoniali e sistemi di controllo più severi, con l’obiettivo di evitare che una catastrofe simile potesse ripetersi.
Il fallimento della Lehman Brothers non fu solo un disastro economico. Fu un simbolo: la dimostrazione che persino i colossi apparentemente indistruttibili potevano crollare in poche settimane, travolti da un sistema basato sull’azzardo e su una regolamentazione troppo permissiva. Ancora oggi, a distanza di 17 anni, le cicatrici di quella crisi sono visibili. Dalla disoccupazione che segnò un’intera generazione, ai debiti pubblici esplosi per salvare le banche, fino alla diffidenza che ancora accompagna il mondo della finanza. Il 15 settembre 2008 rimane quindi una data spartiacque. Il giorno in cui il mondo scoprì che nessuno era davvero “troppo grande per fallire”.