Storia Che Passione
Quando Lincoln chiese a Garibaldi di comandare un'armata unionista

Quando Lincoln chiese a Garibaldi di comandare un’armata unionista

Immaginatevelo l’eroe dei due mondi a combattere i Confederati nei primi anni ’60 dell’Ottocento, nel bel mezzo della guerra di secessione, magari in Pennsylvania o in Virginia. Bene, il vostro pensiero, per quanto storicamente inaccurato, non è che sia proprio campato per aria. Per poco Garibaldi in Nord America non ci andò davvero, incalzato com’era dal presidente Lincoln, desideroso di avere il famigerato generale dalla sua parte, dalla parte dell’Unione, contrapposto per ideologia politica e interessi economici (prevalenti su tutto il resto, non dimentichiamo, mai) alla somma degli Stati del sud. Il contatto fra il sedicesimo presidente USA e Garibaldi ci fu, anche se i destini dei due non finirono per incrociarsi. Di quell’episodio, magari poco noto, senz’altro curioso, voglio parlarvi quest’oggi.

Quando Lincoln chiese a Garibaldi di comandare un'armata unionista

Piccolo richiamo di contesto. La storia è ben nota: nella primavera del 1861 gli Stati Uniti erano lacerati dalla guerra civile tra il Nord (Unionisti) e il Sud (Confederati). Il conflitto, almeno inizialmente, non era chiaramente e apertamente incentrato sull’abolizione della schiavitù. L’obiettivo principale del presidente Abraham Lincoln era mantenere l’Unione intatta. Va tuttavia sottolineato come già all’epoca esistevano movimenti, latori di rilevanti pressioni socio-politiche, affinché il governo prendesse una posizione netta contro la schiavitù. L’abolizionismo contava pur qualcosa.

Nel frattempo, Garibaldi godeva di una straordinaria popolarità internazionale. Le sue imprese militari, come la Spedizione dei Mille (1860), avevano fatto di lui un simbolo della lotta per la libertà dei popoli oppressi. Era visto in molti ambienti liberali europei – e non – come una sorta di eroe, grazie ai servigi del quale potersi affrancare dall’abuso dei tiranni. Poi non dimentichiamo come iniziò la “carriera” del nizzardo: combattendo in Brasile per la libertà degli schiavi neri.

Ok, la condivisione di ideali e la reciprocità delle ambizioni democratiche mettevano Lincoln e Garibaldi sullo stesso piano. Mancava la formalizzazione di una proposta d’ingaggio. L’approccio degli americani fu inizialmente abbastanza timido. Ad aprile 1861 il colonnello in camicia rossa Candido Augusto Vecchi consigliò personalmente al giornalista filo-nordista Henry Theodore Tuckerman di fare pressioni sui comandi unionisti per coinvolgere Garibaldi nella guerra civile. Non sappiamo fino a che punto le sollecitazioni fecero effetto. I fatti incontrovertibili però sono davanti gli occhi di tutti: in maggio sulle pagine del New York Daily Tribune comparve un intervento del generale Garibaldi, il quale si disse propenso ad abbracciare la causa unionista.

Sembrava un matrimonio in procinto di realizzarsi. Ancora in giugno il console americano ad Anversa, James W. Quiggle, chiese in via del tutto esplorativa se l’eroe dei due mondi fosse finalmente disposto a prendere la rotta per l’Atlantico. Stessa identica intenzione fu manifestata dall’ambasciatore statunitense a Bruxelles, Henry Shelton Sanford. Quest’ultimo volle “tastare il terreno” con la propria mano e raggiunse Garibaldi a Caprera. La proposta era la seguente: l’assunzione del grado di generale di divisione e il comando di un’intera armata.

Garibaldi

Sebbene solleticato dall’esperienza, Garibaldi attese prima di dare una risposta certa. Scrisse al re Vittorio Emanuele: “Sire, il presidente degli Stati Uniti mi offre il comando di quell’esercito ed io mi trovo in obbligo di accettare tale missione per un Paese di cui sono cittadino”. A quanto si dice, il monarca di Casa Savoia diede il suo consenso. Ah, sì, effettivamente il nizzardo era cittadino onorario statunitense dal 1854…

Garibaldi si sentì in vena di alzare la posta in gioco, variando leggermente i termini dell’eventuale accordo. Egli non chiedeva il solo comando di un’armata, ma la suprema autorità sull’intero esercito del Nord. Basta così? Manco per sbaglio! Scrisse al presidente Lincoln di emanare un proclama, rivolto alla nazione americana e ai popoli del mondo, in cui si sarebbe esposto di netto sul tema abolizionista. Per Garibaldi, il presidente USA doveva apertamente ripudiare la schiavitù, in ogni sua forma e sostanza.

Le voci sulla trattativa circolarono in Italia. Da Napoli (si colga la rilevanza di quanto segue) si levò un coro di 22.000 firmatari, i quali chiedevano la permanenza di Garibaldi nello Stivale. Mentre una nutrita schiera di notabili partenopei sgomitava affinché il generale rimanesse in Italia, da Washington arrivavano risposte abbastanza piccate in merito alle richieste di Garibaldi. Il comando dell’esercito nella sua interezza era esclusiva prerogativa del presidente. In secondo luogo, una presa di posizione così forte sull’abolizionismo rappresentava per i vertici politici del Nord una rischiosa scommessa. Parlando in politichese, dissero come una simile dichiarazione (combattere una guerra esplicitamente per la causa abolizionista) potesse confondere parte dell’elettorato nordista.

Piccola nota a margine: non è un caso se la radicalizzazione del conflitto avvenga a cavallo fra il 1862 e il 1863, periodo in cui Lincoln firma e fa pubblicare il Proclama dell’Emancipazione. Ovvero i due ordini esecutivi in cui si dichiarano liberi tutti gli schiavi nei territori sotto l’egida degli Stati Confederati d’America e in cui vengono specificati gli Stati in cui la disposizione deve essere rigorosamente rispettata.

Garibaldi

Tempi prolungati, richieste trascinate e desideri non corrisposti mandarono alla deriva le trattative. Garibaldi voleva fare di Roma la capitale dell’Italia unita e sull’Aspromonte comprese quanto fosse difficile in quel momento farlo. Reduce dalla batosta e detenuto a Varignano, una nuova proposta, questa volta inviata dal console americano a Vienna, varcò le sbarre della prigione. Per non creare un futile impasse diplomatico, rifiutò l’incarico. Decadde nell’oblio lo scenario immaginato nelle prime battute di quest’articolo.

Chicca conclusiva? Magari non Garibaldi in persona, ma il suo nome saltò fuori durante la guerra di secessione. Alcuni italiani tra le fila dell’esercito unionista combatterono sotto l’insegna delle Garibaldi guards. Sappiamo che ci furono anche molti italiani di prima o di seconda generazione che impugnarono i fucili altresì per la fazione confederata. Essi provenivano per lo più dalla Louisiana.