Le 12 fatiche di Ercole (o Eracle, Hercules, chiamatelo come preferite) hanno una certa assonanza con le 10 piaghe d’Egitto: ci ricordiamo il numero, ma non esattamente le fatiche/piaghe. Per questo motivo andremo a vederle una per una, partendo ovviamente dalla prima, il leone di Nemea.
Ercole vs il leone di Nemea

Ma perché Ercole si trovò a dover affrontare il leone di Nemea? Detto brevemente: Ercole era figlio illegittimo di Zeus, il re farfallone degli dei e della principessa Alcmena di Micene, nipote fra l’altro dell’eroe Perseo. Tecnicamente parlando Alcmena era innamorata e sposata con Anfitrione, re di Tirinto e altro nipote di Perseo. Ma questo non fermò di certo la lussuria di Zeus che da Alcmena ebbe un figlio, Ercole per l’appunto.
Ovviamente Era, la moglie di Zeus, non era felice di questa ennesima scappatella del fedifrago marito. Così decise che a farne le spese del marito adultero sarebbe stato proprio Ercole: giurò che lo avrebbe tormentato per tutta la vita. E così fece, fino all’evento che avrebbe condotto l’eroe greco a dover intraprendere le sue 12 fatiche.
Nel corso della sua vita, infatti, Ercole sposò Megara, la figlia di Creonte, il re di Tebe e i due ebbero due figli. A Era non garbava molto che quel figliastro fosse così felice e così un giorno, mentre Ercole tornava da Tebe, lo spinse a infuriarsi così tanto da rasentare la follia. Il che indusse Ercole a uccidere moglie e figli.
Una volta caduta l’illusione, Ercole si disperò per quanto fatto. Tutte le persone che fino ad allora lo avevano osannato come eroe, passarono in meno di mezzo secondo a considerarlo come un assassino. Deciso ad autopunirsi, anche per raggiungere l’espiazione ed evitare le ire delle Furie (divinità della vendetta che lo avrebbero inseguito per tutta la vita fino a farlo impazzire in quanto punivano chi uccideva i propri famigliari), andò dall’Oracolo di Delfi.
Quest’ultimo gli disse che, per espiare il suo crimine, avrebbe dovuto servire Euristeo, il re dell’Argolide, per dieci anni, svolgendo ogni compito che lui gli avesse assegnato. Nell’antica Grecia, infatti, era prassi comune: per poter essere perdonati per un crimine del genere bisognava ricevere la purificazione da un re, un oracolo o un sacerdote.
Quello che Ercole non poteva sapere era che Era aveva incantato l’Oracolo in modo da farle proferire tali parole. Accortosi dell’accaduto Apollo, il dio della profezia, riuscì in extremis a riprende il controllo dell’Oracolo, aggiungendo la postilla secondo la quale se Ercole avesse servito il re senza mai lamentarsi, ecco che avrebbe ricevuto come ricompensa non solo l’espiazione della sua colpa, ma anche l’immortalità.

Inutile dire che Euristeo approfittò subito della situazione. Era un codardo, astuto e invidioso della popolarità di Ercole come eroe. Così escogitò le prove più difficili e pericolose che gli venissero in mente.
E la prima delle 12 fatiche di Ercole fu proprio quella del leone di Nemea. Quest’ultimo era un grosso felino che terrorizzava gli abitanti della zona nord-orientale del suo regno. Ovviamente non era un leone qualsiasi, bensì si pensava fosse il figlio della Chimera, di Tifone o Echidna.
Per Esiodo il leone era stato allevato da Era e mandato appositamente a perseguitare la Nemea. Il leone di Nemea aveva una pelliccia dorata, spessa e impenetrabile. Nessuna freccia, lama o lancia poteva scalfire la sua pelle. Gli artigli erano affilati come rasoi ed erano in grado di affettare il metallo come burro. Le fauci erano così possenti da poter mordere la pietra come se fosse del pane.
Nonostante la fama di questo tenero cucciolone, non appena Ercole seppe quale sarebbe stata la sua prima fatica, non batté ciglio. Da impavido eroe si limitò a chiedere se dovesse uccidere il mostro o riportarlo indietro vivo o morto. Euristeo, irritato dal comportamento di ercole, gli disse che doveva solo ucciderlo e che non aveva bisogno di vedere il suo corpo.
Ercole iniziò così a dare la caccia al leone, seguendolo e osservandolo. Il suo primo tentativo di ucciderlo fu con delle frecce. Che, prevedibilmente, rimbalzarono indietro. Così Ercole capì che c’era un unico modo per sconfiggerlo: usare le sue mani e la sua forza.
Anche se Ercole era fondamentalmente un uomo d’azione, non era un incosciente. Iniziò ad allenarsi per diverse settimane, in modo da aumentare la sua già notevole forza. E per allenamento Ercole non intendeva fare una corsa intorno all’isolato, sollevare un paio di pesi in palestra o fare plank. La parola “allenamento” per Ercole consisteva nello sradicare alberi a mani nude, correre intere maratone e sollevare macigni sopra la testa.
Mentre si allenava, poi, ideò anche un piano. La caverna che fungeva da tana per il mostro aveva due ingressi. Prima di cimentarsi nella lotta, ne bloccò uno con un masso, in modo da impedire qualsiasi tentativo di fuga da parte della fiera.
Una volta terminati i preparativi del caso, Ercole entrò nella tana in modalità stealth: meglio un backstab che un attacco frontale. Arrivato dal leone, balzò in avanti e, cogliendo di sorpresa la bestia, l’afferrò. Per ore Ercole strinse la presa attorno alla gola del leone, impedendogli, con uno sforzo sovrumano, di usare artigli o fauci.

Nonostante la sua pelliccia fosse impenetrabile, il leone non era certo a prova di soffocamento. Così, dopo ore, finalmente Ercole riuscì ad avere la meglio, uccidendo il leone di Nemea. Poi gli rese omaggio inginocchiandosi dinanzi a lui, salvo poi scuoiarlo e usare la pelliccia come armatura e trofeo. Cosa che era nelle sue intenzioni sin dall’inizio. Nonostante non si fosse lamentato, aveva trovato irritante il comportamento di Euristeo. Per questo motivo gli aveva chiesto se dovesse riportarli il corpo: avendo rifiutato, Ercole era libero di disporre come preferiva dei resti della belva.
Giustamente vi starete chiedendo come abbia fatto a scuoiare il leone visto che la sua pelle era impenetrabile. Beh, probabilmente Ercole starebbe ancora lì a cimentarsi nell’impresa se non fosse intervenuta Atena. La dea, infatti, gli suggerì di usare gli stessi artigli del leone per scuoiarne la pelliccia.
Così Ercole trasformò la pelliccia in un mantello con cappuccio. Il quale cappuccio era la testa stessa del leone. Gli artigli, invece, li trasformò in una collana. Poi, non pago, si guardò intorno e, dopo aver individuato la quercia più grande, la sradicò, le tolse i rami e la usò per creare un’enorme clava. L’esperienza gli aveva insegnato che, a volte, un’arma colossale potrebbe essere più utile di spade e lance contro i nemici.
Fra l’altro, nell’immaginario collettivo, Ercole indossa sempre la pelle di leone sulle spalle, con le fauci aperte della bestia sulla testa, come mantello e porta al fianco una grande clava. Il suo aspetto iconico deriva proprio da questa lotta.
E mentre tornava a casa, ecco che Euristeo aveva già escogitato un’altra fatica, ancora più pericolosa della precedente: uccidere l’Idra di Lerna dalle nove teste. Ma questa è un’altra storia.