Su Netflix c’è una nuova docu-serie che sta destando l’interesse di molti. Dal titolo Cold Case: The Tylenol Murders, è incentrata sui misteriosi omicidi del Tylenol che sconvolsero la Chicago degli anni Ottanta. Tanti i misteri che circondano questi crimini irrisolti. Troppe le domande sul caso.
La storia degli omicidi del Tylenol

Correva l’anno 1982 e il 20 settembre la poliza e le ambulanze correvano lungo le strade di Chicago avvisando i cittadini di non prendere il Tylenol. Il motivo? Il giorno prima ben sette persone, tutte della periferia della città, avevano ingerito del Tylenol che conteneva cianuro di potassio. E il cianuro di potassio è mortale. Le sette persone, infatti, morirono tutte.
Il fatto è che qualcuno aveva intenzionalmente avvelenato quel Tylenol. Il panico si impadronì degli americani. E mentre il Tylenol veniva richiamato dal mercato (fra l’altro fu il più grande richiamo della storia degli USA), ecco che la polizia iniziò a indagare per cercare il colpevole. Senza mai trovarlo, fra l’altro. A 40 anni di distanza, infatti, investigatori e documentaristi ancora stanno cercando di capire chi si nascondeva dietro a questo atto.
Come dicevamo, furono sette le vittime. Mary Kellerman aveva solo 12 anni ed era a casa: non era andata a scuola perché stava male. Così prese una capsula di Tylenol Extra Forte (il Tylenol è a base di paracetamolo, antipiretico e analgesico). Il flacone era nuovo: la madre lo aveva comprato solo il giorno prima. Considerate che all’epoca il Tylenol era venduto in scatole di cartone con lembi sigillati non in maniera ermetica. Al suo interno c’era un semplice flacone con tappo in plastica rossa che si apriva facilmente.
Subito dopo aver preso la pillola, la bambina crollò a terra. La madre chiamò immediatamente i soccorsi, ma i paramedici non riuscirono a rianimarla e in ospedale ne dichiararono il decesso, non riuscendo a stabilire quale fosse stata la causa del suo arresto cardiaco. Fra l’altro la madre aveva detto ai medici che la bambina aveva preso del Tylenol, ma inizialmente nessuno diede importanza alla cosa: praticamente tutti nel mondo hanno preso del paracetamolo almeno una volta nella vita.
Intanto a 16 km di distanza Adam Janus, supervisore di un ufficio postale, chiamò l’ufficio per dire che sarebbe andato a lavorare visto che aveva il raffreddore. Poi prese due capsule di Tylenol. Anche lui, però, stette male subito: prima di morire ebbe solo il tempo di dire alla moglie che aveva dei dolori al petto. Per questo motivo i medici pensarono a un infarto.
Nel frattempo Stanley, il fratello 25enne di Janus, andò a casa della cognata insieme a Terri, la moglie di 19 anni. Sconvolti dalla notizia, entrambi presero due capsule a testa di Tylenol. Entrambi crollarono immediatamente. Trasportati d’urgenza in ospedale, Stanley morì quello stesso giorno, mentre Terri, anche se attaccata al respiratore, morì due giorni dopo.
A questo punto medici, paramedici e poliziotti si accorsero che in zona c’erano un po’ troppi decessi improvvisi. Fu soprattutto il fatto che tre persone della stessa famiglia fossero improvvisamente svenute a far sorgere qualche sospetto. Chuck Kramer, tenente dei Vigili del Fuoco, chiese all’infermiera Helen Jensen di cercare di capire cosa fosse successo. Recatasi a casa dei Janus, Jensen notò quel flacone di Tylenol: mancavano giusto sei capsule. Inoltre trovò anche lo scontrino: anche quel flacone era stato appena comprato.
Jensen ipotizzò che le morti fossero dovute al farmaco. Ma inizialmente le autorità non le credettero. Questo almeno fino a quando non ci furono altre tre vittime: Paula Prince, 35 anni, assistente di volo; Mary McFarland, 31 anni; Mary Reiner, 27 anni. Tutte avevano ingerito Tylenol.
Avendo tutte ingerito il Tylenol, ecco che il principale indiziato era lui. Ma la fonte non spiegava la morte: il paracetamolo non causa di questi sintomi. Ma il dottor Thomas Kim, il quale aveva cercato di curare la famiglia Janus, fece un’ipotesi: e se si fosse trattato di cianuro? Così esaminarono quel Tylenol ed ecco che qui trovarono dei cristalli che odoravano di mandorle amare. E gli esami del sangue delle vittime confermarono l’avvelenamento da cianuro di potassio.

Pare che le capsule contenessero fino a 610 mg di cianuro, tre volte la quantità necessaria per causare la morte di un essere umano. Da lì partì immediatamente il maxi richiamo con annessa allerta nazionale. Pensate che la Johnson & Johnson, azienda produttrice del Tylenol, ritirò qualcosa come 31 milioni di flaconi, perdendo 100 milioni di dollari.
Le autorità non distrussero subito i flaconi, ma li esaminarono, trovando altri flaconi compromessi. Tuttavia i flaconi provenivano da zone diverse, quindi la fonte di origine non era unica. Ma questo voleva dire che non si era trattato di un errore accidentale: qualcuno aveva avvelenato il Tylenol deliberatamente, dopo che le capsule erano arrivate sugli scaffali.
Tutti si misero alla ricerca del responsabile (o dei responsabili): la FDA, l’FBI, le forze dell’ordine statali e locali. Anzi: in teoria l’FBI non aveva la giurisdizione per poter agire, ma il presidente Ronald Reagan ordinò esplicitamente all’agenzia di unirsi alle indagini.
Interrogarono tutti: i parenti delle vittime, i dipendenti di tutti gli stabilimenti della Johnson & Johnson, gli ex dipendenti… Ricorsero pure alla macchina della verità. Niente da fare, invece, per le impronte digitali: quei flaconi ormai erano passati da troppe mani. Chiunque avrebbe potuto avvelenare quelle confezioni.
Non c’erano piste credibili. L’unica soffiata, quella relativa al portuale Roger Arnold, finì nel nulla. Arnold si era vantato di avere del cianuro. Ovviamente le autorità lo bloccarono e interrogarono. Lavorava in zona, aveva attrezzature di laboratorio, ma nulla di più: nella sua casa non c’era cianuro. Non lo accusarono degli omicidi del Tylenol, ma finì comunque in prigione. Era così arrabbiato per essere stato indagato che sparò a un passante, scambiandolo per un informatore e uccidendolo.
Successivamente arrivò un’altra pista. Qualcuno aveva spedito alla Johnson & Johnson una lettera chiedendo un pagamento di 1 milione di dollari per mettere fino agli avvelenamenti. Gli investigatori, seppur con un po’ di fatica, risalirono all’autore del biglietto: era James Lewis di New York. Ma niente da fare qui. Certo, in passato era stato accusato di omicidio (poi archiviato), ma le forze dell’ordine non riuscirono a collegarlo agli omicidi del Tylenol.

Spiegò di aver sperato di spillare qualche soldo dall’ex datore di lavoro della moglie. Inoltre durante la manomissione dei flaconi lui stava a New York, non a Chicago. Tuttavia rimase nel mirino degli inquirenti, anche perché continuava a interessarsi un po’ troppo al caso, ma forse era solo un opportunista. Come se non bastasse, successivamente, saltò fuori che aveva un libro sui veleni. Negli anni successivi ebbe diversi guai legali, con accuse di stupro e rapimento, ma anche qui il caso venne archiviato perché la vittima non volle testimoniare. Lewis morì a 76 anni, senza essere stato incriminato degli omicidi del Tylenol. Ancora oggi nessuno sa chi abbia contraffatto quel Tylenol.