Era il 7 ottobre del 1985 quando quattro palestinesi membri del FLP, ovvero Fronte di Liberazione della Palestina, dirottarono la nave da crociera italiana Achille Lauro. Iscrivere quell’episodio ad una mera data precisa, quel 7 ottobre dell’85, sarebbe riduttivo. Quello che accadde quel giorno di autunno era il frutto di eventi che avevano radici in decenni precedenti e che avrebbero condizionato, bene o male, i futuri anni di politica interna ed estera. La crisi di Sigonella è uno degli eventi più importanti di quegli anni ’80 che andavano verso la loro fine, portando con sé, nel loro letto di morte, la fine del bipolarismo e la morte della “Prima Repubblica” italiana.

Cosa accadde in quei giorni e perché furono il canto del cigno dell’Italia come potenza mondiale lo vedremo nelle righe che seguono. Intanto vi diciamo che fu una delle rarissime volte in cui il Belpaese alzò la voce contro gli Stati Uniti, un evento più unico che raro e pregno di significati storici.
Sono le 13:10 e il pranzo servito sulla crociera forse andò di traverso a molti dei presenti. In quel minuto i quattro membri del FLP infatti rivelarono la loro vera identità, non quella falsa con cui si imbarcarono giorni prima. Nei loro bagagli non c’erano costumi da bagno e vestiti baluginanti di cui fare mostra con orgoglio, ma armi per intimidire e tanta voglia di rivalsa.
Dopo molte ore, in serata, i terroristi si misero in contatto col la terra ferma, mentre erano a largo dell’Egitto. La richiesta era estremamente semplice: liberare 50 ostaggi palestinesi dalle carceri israeliane. L’incentivo a farlo era crudele e spaventoso: i terroristi avrebbero cominciato ad uccidere i passeggeri della nave, a cominciare da quelli americani. Ed ecco che, come si diceva in apertura, la politica internazionale, i legami tra USA e Israele e i rapporti di forza mondiali entravano in gioco.
C’era un solo problema e una piccola discrasia nella vicenda: il tutto stava accadendo a bordo di una nave che batteva bandiera italiana, ergo, la giurisdizione sugli eventi spettava all’Italia. Il capo del governo, Bettino Craxi, leader socialista e amico personale di Yasser Arafat, capo dell’OLP, entrava in gioco.
Iniziava l’Operazione Margherita e Giulio Andreotti, all’epoca Ministro degli Esteri, contattò personalmente Arafat, il quale escluse ogni qualsivoglia coinvolgimento della sua organizzazione e si disse disponibile a offrire mediazione. Offrì l’aiuto, fra gli altri, di Abu Abbas, fondatore e coordinatore del FLP e futuro protagonista della vicenda, mentre si muoveva anche il Ministro di Stato egiziano Butros Ghali. Craxi e Andreotti, pur di salvare gli ostaggi e far concludere al meglio la vicenda, offrirono all’inizio un salvacondotto ai terroristi verso un paese arabo, in cambio della fine pacifica della vicenda. Gli eventi prenderanno però una piega leggermente diversa…

Nella notte partì la Nave Ammiraglia Vittorio Veneto e gli elicotteri italiani, decisi a intercettare la nave. Nei giorni seguenti però, a bordo dell’Achille Lauro, avveniva l’evento più tragico della vicenda: l’atroce morte di Leon Klinghoffer. Chi era Leon? Era il capro espiatorio perfetto, il simbolo sublime e perfettamente confacente con ciò che accadeva. Un ebreo americano, costretto in sedia a rotelle, e “perfetto simbolo dell’occidente“, come diranno gli stessi sequestratori.
Perforato da proiettili di piccolo calibro nella testa e nel petto. Poi lo buttarono giù, al largo di quel mare egiziano che si tingeva di rosso, che si sporcava di sangue. Leon era però americano e Washington scalpitava dall’inizio della vicenda. Niente più li tratteneva dall’intervenire. Nel frattempo, il governo italiano ansioso della salute dei passeggeri, raggiunse un accordo. I quattro dirottatori andavano, a bordo di un Boing 737, a Tunisi, dove si trovava in quel frangente storico la sede dell’OLP. Almeno questo era il piano, ma le cose andarono molto diversamente.
Sui cieli del Mediterraneo c’erano infatti, già pronti e operativi, gli F-14 americani. Gli aerei a stelle e strisce, intercettarono il volo e lo costrinsero ad atterrare sulla base americana di Sigonella, in Sicilia. Ah, il tutto avvenne senza chiedere il permesso ai padroni di casa, ovvero al governo italiano che, dopo l’omicidio Klinghoffer, temeva un’escalation.
Era da poco passata la mezzanotte del giorno 11 ottobre 1985 e la storia era ad un punto di svolta. Il Boing 737 fu circondato da 20 carabinieri e 30 avieri della Vigilanza Aeronautica Militare. Come negli insiemi matematici, un secondo insieme racchiuse il primo: erano le forze militari della Delta Airforce americana.
Erano due alleati che si frapponevano e si osteggiavano per la prima volta dopo oltre 40 anni. Gli italiani rivendicavano il loro primario diritto di giurisdizione sulla causa. Gli americani, al contrario, pensavano che dopo l’uccisione di Leon Klinghoffer, la questione dovesse passare in mano loro. Seguirono quasi 3 ore di lunghissimo stallo, fino a quando, alle 3:30 di notte, il presidente americano Ronald Reagan, chiamò Bettino Craxi.

La questio era sempre la stessa, le posizioni anche, ma “Il cinghialone” Craxi, come lo chiamavano in maniera ilare i compagni di partito, dimostrò tutta la durezza della scorza e della testa dei cinghiali italiani. Non arretrò di un millimetro. Era una questione avvenuta sul suolo italiano? Bene, gli oneri e gli onori dovevano essere italiani! Il processo, alla fine, si svolse in Italia, dopo il trasferimento dei dirottatori a Ciampino.
Anche in questo caso intervenne un aereo americano che provò a dirottare il volo. I caccia italiani, per la seconda volta, dissero di no, riportando definitivamente con i piedi per terra gli americani. Il sudato e puntiglioso processo si svolse, infine, in Italia. Pene fino a 30 anni toccarono ai membri del FLP, e al loro leader Abu Abbas, l’ergastolo in contumacia. Craxi vinse. L’Italia vinse. Non ci fu servilismo verso i creditori, non si piegò la testa alla superpotenza, almeno non quella volta. Almeno quella volta, l’Italia si ricordò quale era il suo posto: fra i grandi del mondo!




