Fotografia dell’United States Geological Survey, data sconosciuta, luogo sconosciuto. Nella fotografia potete vedere Katia e Maurice Krafft, due celebri vulcanologi, marito e moglie, scomparsi proprio a causa di un vulcano. Sono anche i protagonisti del documentario commemorativo The Fire Within: A Requiem for Katia and Maurice Krafft.
Come sono morti Katia e Maurice Krafft?

Possiamo dire che nessuno è mai stato più appassionati di vulcani di Katia e Maurice Krafft, una coppia nella vita e nel lavoro, visto che entrambi erano vulcanologi. E del genere più spericolato: protetti dalle loro tute in amianto (all’epoca nessuno sapeva che l’amianto era cancerogeno), con le loro attrezzature protette anche esse dall’amianto, si recavano a pochi metri dalle colate laviche, talvolta posando qualche passo sulla lava, in modo da documentare con fotografie e registrazioni le eruzioni vulcaniche e le colate piroclastiche.
I vulcani erano la loro passione, ma furono anche la loro morte. Anche se su di essa aleggia un mistero. Ma andiamo con ordine.
Catherine Joséphine “Katia” Conrad nacque il 17 aprile 1942 a Guebwiller, in Francia. Era laureata in fisica e chimica presso l’Università di Strasburgo. Maurice Krafft, invece, nacque il 25 marzo 1946 a Mulhouse, in Francia. A soli sette anni, durante una vacanza in famiglia, rimase così estasiato dal Vesuvio e dallo Stromboli che, all’età di 15 anni, decise di entrare a far parte della Société géologique de France. Poi studiò geologia prima all’Università di Besançon e poi all’Università di Strasburgo.
Come è facilmente intuibile, i due si incontrarono proprio all’Università di Strasburgo e, uniti anche dalla relativa passione per i vulcani, si sposarono nel 1970. Neanche a dirlo, la luna di miele la trascorsero a Stromboli. E al posto di scattare romantiche fotografie al tramonto, che mi dicono essere prassi comune in cotale circostanza, passarono il tempo a fotografare l’eruzione del vulcano.
Da qui nacque la loro carriera di cacciatori di eruzioni vulcaniche. Un po’ come accade con i cacciatori di tornado, i Krafft erano spesso i primi ad arrivare là dove ci fosse un vulcano attivo, pronti a fotografare e documentare tutto in prima linea. Il tutto supportati spesso anche dalle autorità locali che erano ben contente di avere qualcuno di così temerario da andare sul bordo di un vulcano attivo pronto a registrare quanto stesse accadendo.
Per esempio, nel 1991 il Monte Pinatubo nelle Filippine iniziò a riattivarsi. Molti scettici non vedevano il motivo di un’evacuazione di massa e così le riprese dei Krafft in merito a quanto accaduto sul Nevado del Ruiz nel 1985 in Colombia (la tragedia di Armero) convinsero tali scettici e Corazón Aquino, il presidente delle Filippine, a organizzare di corsa un’evacuazione di massa.

Fra l’altro Katia iniziò la sua carriera proprio prelevando campioni di gas vulcanici e scrivendo diversi libri. Anche le riprese ravvicinate effettuate dalla coppia hanno contribuito ad aumentare le conoscenze dei vulcani, tanto che Katia è spesso citata come pioniera nel campo della vulcanologia.
Come se non bastasse i Krafft hanno anche documentato la formazione di nuovi vulcani e gli effetti della pioggia acida e delle nubi di cenere. Solitamente Maurice filmava le eruzioni vulcaniche mentre Katia scattava fotografie. Uno dei loro ultimi progetti fu “Comprendere i rischi vulcanici e ridurre i rischi vulcanici”, una serie di film informativi e materiali didattici che spiegassero non solo i meccanismo delle eruzioni vulcaniche ma anche perché fossero necessarie le evacuazioni.
Katia e Maurice non erano, dunque, degli sprovveduti. I vulcani li conoscevano bene. Il che rende quanto accaduto sul Monte Unzen ancora più misterioso. Il 3 giugno 1991, alle ore 16, il Monte Unzen, sull’isola di Kyushu, in Giappone, iniziò a eruttare, producendo grandi flussi piroclastici. Questi scesero giù lungo i pendi del vulcano, uccidendo 43 persone. E fra di essere c’erano anche i Krafft e il collega vulcanologo Harry Glicken.
Ritrovarono i corpi solo due giorni dopo. Katia e Maurice si trovavano vicino alla loro auto a noleggio, sdraiati uno vicino all’altro sotto uno strato di cenere piroclastica. E vicino c’era il corpo di Glicken. All’inizio i corpi erano irriconoscibili. L’identificazione avvenne solamente grazie ad alcuni oggetti personali, fra cui l’orologio e la macchina fotografica di Maurice.

Si potrebbe pensare che i vulcanologi non fossero riusciti a fuggire in tempo prima che i flussi piroclastici li investissero, ma secondo una accreditata teoria non andò proprio così. O meglio: la posizione dei corpi parrebbe suggerire che Glicken, in effetti, vedendo rotolare giù dalle pendici i flussi piroclastici, avesse cercato di scappare.
I Krafft, invece, erano rimasti esattamente dove si trovavano: non avevano neanche cercato di scappare, continuando a filmare i flussi in avvicinamento. Solo che tale materiale registrato andò distrutto a causa del calore vulcanico, motivo per cui sulla morte dei Krafft aleggia ancora il mistero.
I resti dei Krafft furono poi cremati e deposti nel santuario Anyo-ji a Shimabara, quello dedicato alle vittime del terremoto e dello tsunami di Unzen del 1792. Solo successivamente le loro ceneri furono traslate nella tomba di famiglia di Katia in Francia.
Una vita dedicata ai vulcani. E anche la morte. Ma d’altra parte Maurice aveva sempre detto che voleva morire continuando a fare il suo lavoro “ai margini di un vulcano”. E così è stato.