Fotografia di anonimo, Bajkonur, Repubblica Socialista Sovietica Kazaka, anni ’80. Un uomo, in groppa al suo cammello, posa davanti il monumento del razzo Sojuz. Il contrasto è facilmente percepibile. Da una parte la tradizione delle steppe kazake, incarnata dall’uomo e dal suo “destriero”; dall’altra il progresso tecnologico, le ambizioni spaziali dell’URSS entrata nel suo ultimo giro di valzer. Vediamo assieme che storia può raccontarci una simile fotografia, certamente curiosa, ma anche densa di spunti di riflessione.

Il monumento che domina l’immagine è una replica del vettore Soyuz, uno dei razzi più celebri della storia dell’astronautica. Progettato a partire dagli anni ’60 da Sergej Korolëv, il padre del programma spaziale sovietico, il Soyuz rappresentò la versione più evoluta del razzo R-7. Quest’ultimo fu il primo vettore balistico intercontinentale della storia. Servì come base per lanci epocali, come quello di Jurij Gagarin il 12 aprile 1961, quando l’uomo volò per la prima volta nello spazio a bordo della Vostok 1.
Il Cosmodromo di Bajkonur, dove il monumento si trova, fu il cuore pulsante di quella straordinaria epopea. Costruito nel 1955 in piena Guerra Fredda, in un’area remota del deserto kazako, venne ufficialmente designato come “Bajkonur” per ragioni di segretezza. In realtà si trova vicino alla città di Tjuratam, a circa 200 km dal villaggio di Bajkonur. Da quella base partirono tutte le principali missioni sovietiche.

Negli anni ’80, quando si scattò la fotografia in copertina, il cosmodromo e il suo monumento al razzo Soyuz erano diventati veri e propri emblemi di orgoglio propagandistico nazionale. Il monumento simboleggiava il trionfo del socialismo e della scienza sovietica, presentandosi come una “cattedrale del progresso” nel cuore delle steppe.

Ciò che rende questa immagine affascinante è tuttavia il contrasto culturale e temporale al quale già ho fatto riferimento. Il cammello, animale principe delle vie carovaniere dell’Asia Centrale, richiama un modo di vita arcaico. Un simbolo legato alle tradizioni nomadi kazake e turkmene, rimaste vitali anche dopo decenni di collettivizzazione forzata e modernizzazione imposta da Mosca. L’uomo che lo cavalca sembra appartenere a un’altra epoca, ma posa fiero davanti al simbolo massimo del progresso sovietico, come se le due dimensioni potessero convivere.

In questa contrapposizione si riflette la duplice anima del Kazakistan sovietico. Da un lato, l’orgoglio di partecipare al sogno cosmico dell’URSS, che proprio da quella terra lanciava i suoi astronauti verso lo spazio. Ma dall’altro, la permanenza di una cultura millenaria, fatta di pastorizia, steppe e tradizioni turciche.
Non è un caso che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, il Cosmodromo di Bajkonur sia rimasto in uso grazie a un accordo tra la Russia e il neonato Kazakistan. Un simbolo, ancora oggi, della continuità tra l’epoca comunista e quella post-sovietica.




