Fotografia di Alphonse Bertillon, Parigi, Francia, 17 ottobre 1893. Non ha neppure compiuto 2 anni il bambino che vedete nello scatto, eppure è già colpevole di un furto: a quanto pare ha sottratto tutte le pere da un cesto. Colto in flagrante, le forze dell’ordine lo hanno sottoposto a fermo, interrogato (senza successo) e schedato secondo il nuovo metodo, comprensivo delle foto segnaletiche. Il bambino si chiama François Bertillon, ha la “sfortuna” di essere il figlio di Alphonse Bertillon, criminologo francese, inventore di un innovativo metodo di riconoscimento biometrico e pioniere della fotografia segnaletica. Chiaramente la narrazione dietro lo scatto del 1893 è frutto di uno scherzo, ma ci fornisce un quadro storico entro il quale poter elaborare una più ampia riflessione.

Per quanto la premessa di questo articolo sia leggera – spero anche un po’ simpatica – la figura di Alphonse Bertillon si muove in un grigio biografico che, in modo serioso e triste, si lega a doppio filo con la tensione socio-politica tipica della Terza Repubblica francese di fine Ottocento. Farò menzione di questo “cupo collegamento”, concentrando tuttavia il focus sulla storia delle fotografie segnaletiche e della loro scherzosa genesi.
Si tende a ricordare il parigino Alphonse Bertillon (1853-1914) principalmente per il suo contributo allo sviluppo della moderna criminologia. Senz’altro fu un pioniere della scienza forense, figura chiave nell’evoluzione dei metodi d’identificazione criminale. Non poteva essere altrimenti, come direbbe qualcuno andando a spulciare sulle annotazioni biografiche. Alphonse nacque e crebbe nel segno della scienza e del calcolo. Suo padre, Louis-Adolphe Bertillon, era un apprezzato statistico; suo fratello Jacques invece fu un noto demografo francese. Insomma, questa formazione scientifica lasciò un’impronta profonda nel giovane Alphonse, che cercò di applicare la logica dei numeri e delle misurazioni al mondo, allora ancora empirico e caotico, delle indagini di polizia.

La sua carriera iniziò in modo piuttosto modesto. Entrato nella polizia parigina come impiegato, Bertillon rimase colpito dal disordine con cui venivano archiviati i dati dei criminali. Descrizioni vaghe, fotografie prive di criterio. Persino i nomi – la cosa più importante se devi identificare un sospetto – apparivano mal scritti. Non esisteva alcun metodo oggettivo per riconoscere un recidivo se non la memoria degli agenti o la fortuna. E quando quest’ultime mancavano (e fidatevi, mancavano spesso), si finiva per brancolare nel buio.
Allora Bertillon, all’incirca negli anni ’80 del XIX secolo, sviluppò il metodo dell’antropometria giudiziaria, chiamato anche “bertillonage”. Esso si fondava su un insieme di undici misurazioni precise del corpo umano (ad esempio la lunghezza del cranio, la distanza tra le braccia, la lunghezza dell’orecchio o del piede) combinate con descrizioni standardizzate di tratti fisionomici (colore degli occhi, forma del naso, cicatrici, tatuaggi). Si registravano queste informazioni in schede numerate, permettendo alla polizia di ritrovare rapidamente i precedenti di un sospetto.
La polizia di Parigi adottò il comprovato “metodo Bertillon” nel 1882. Presto si diffuse in tutta Europa e anche oltreoceano. Il bertillonage rappresentò la prima applicazione sistematica di criteri biometrici alle indagini, aprendo la strada alla criminologia che tutti conosciamo.

Accanto alle misurazioni antropometriche, Bertillon introdusse un’altra innovazione destinata a lasciare un’impronta duratura: la foto segnaletica. Prima di lui, i criminali venivano fotografati senza regole precise, spesso in pose teatrali o casuali. Bertillon stabilì invece un protocollo rigoroso, che conosciamo ancora oggi. Due fotografie per ogni soggetto: una frontale e una di profilo, con illuminazione uniforme e sfondo neutro. Ad accompagnare queste immagini erano le doverose informazioni antropometriche e una rigorosa descrizione testuale standardizzata. Ebbene, il sistema del 1888 è ancora oggi alla base delle fotografie di identificazione in uso nelle forze dell’ordine di tutto il mondo.
Ora viene la parte controversa, che stona con il trascorso scientifico di Bertillon e con la spensieratezza della segnaletica scattata a suo figlio, colpevole di aver rubato più pere del dovuto. Il padre del metodo biometrico giocò un certo ruolo nel più controverso e famoso scandalo giudiziario dell’Europa tardo ottocentesca. Chi di voi ha colto l’indizio e l’ha associato all’epoca, sa già dove andrò a parare. Esatto, l’Affaire Dreyfus.

Quando nel 1894 l’alta corte francese accusò il capitano Alfred Dreyfus di tradimento, Bertillon intervenne come perito per esaminare un documento compromettente. E poco importava che Alphonse Bertillon fosse antisemita fino al midollo, tanto lo erano un po’ tutti. Convinto della colpevolezza dell’imputato, egli sviluppò un’analisi grafologica fantasiosa. Alla fine dei conti, incastrò con un artificio il malcapitato ufficiale. Le sue conclusioni si poggiarono unicamente su interpretazioni arbitrarie e contribuirono in modo decisivo alla condanna ingiusta del capitano.




