Fotografia di autore sconosciuto, Stati Uniti d’America, 1929-1931. Nella foto potete vedere un esemplare di “Vino sano grape brick”, il mattone di vino inventato da alcuni intraprendenti viticoltori per bypassare i divieti del Proibizionismo.
Come funzionava un mattone di vino?

Spesso i divieti più restrittivi spingono alcune menti a inventare le soluzioni più impensate per aggirare tali divieti. Prendiamo, per esempio, il mattone di vino: se non ci fosse stato il Proibizionismo è possibile che non avremmo mai avuto questa invenzione geniale.
Del Proibizionismo abbiamo già discusso nel dettaglio in passato. Qui ricordiamo brevemente che negli USA il Proibizionismo rimase in vigore dal 1920 al 1933, vietando la produzione, l’importazione, il trasporto e anche la vendita di bevande alcoliche di qualsiasi tipo e genere. I “dry”, i sostenitori del Proibizionismo, lo consideravano come un metodo per tutelare la morale e la salute pubblica. Ma c’era anche chi non vedeva alcunché di male nel bere moderatamente. Proprio questi ultimi crearono diverse soluzioni alternative per bypassare i divieti.
Per esempio, nacquero i speakeasies, cioè strutture illegali e clandestine che vendevano alcolici in barba alla legge. Spesso gestiti dal crimine organizzato, ogni volta che venivano scoperti dalla polizia e dal Bureau of Prohibition, ecco che chiudevano i battenti. Salvo riaprire poco dopo.
Ma ci fu chi dimostrò anche più inventiva. Joseph Gallo, il padre dei viticoltori Ernest e Julio Gallo, inventò il Vine-Glo. Si trattava di un mattone di uva concentrato. L’idea gli venne sfruttando l’articolo 29 del Volstead Act. Questo articolo, infatti, permetteva di continuare a vendere i prodotti analcolici a base di uva, in modo da realizzare succhi di frutta non alcolici.

Così Gallo creò un mattone di vino, tecnicamente legale e lo vendette tramite la Fruit Industries Ltd. Questa era un’azienda di facciata creata nel 1920 dalla California Vineyardist Association (CVA).
Tecnicamente parlando si trattava di mattoni di uva essiccata, quindi non alcolici. Solo che, se lasciati un tempo adeguato in un contenitore, ecco che si sarebbe innescata la fermentazione alcolica, trasformando così quell’innocuo mattone di uva in vino. Ovviamente la Fruit Industries non poteva certo pubblicizzare il mattone in questo modo. Ma poteva comunque giocare con la psicologia inversa.
Il Vine-Glo, infatti, era pubblicizzato avvisando gli acquirenti di NON mettere il mattone e il liquido derivante in una brocca per 20 giorni, perché riporlo in tal modo e lasciato lì per quel lasso di tempo specifico si sarebbe trasformato in vino.
Questi “avvisi” su come non trasformare il mattone di vino in vino vero e proprio ovviamente spiegavano nel dettaglio come ottenere il vino. Sul packaging, come si può vedere nella foto, era descritta la procedura nel dettaglio. Questa la scritta: “Dopo aver disciolto il mattone in un gallone d’acqua, non tenere il liquido in un contenitore dentro l’armadio per venti giorni, altrimenti diventerà vino”.
Come se non fosse ben chiaro, un altro “avviso” ricordava che i tappi di sughero non erano necessari per conservare le bevande non alcoliche. Il che suggeriva implicitamente che per quelle alcoliche era necessario un tappo di sughero. Il tutto ovviamente veniva venduto da venditori che ammiccavano vistosamente, spiegando come il prodotto NON dovesse essere utilizzato.
Questo concentrato di uva legale prodotto in blocchi pressati ebbe parecchio successo. Pensate che dal 1929 al 1931 ne vendettero 1 milione di galloni, creandone anche otto varietà aromatizzate al vino. La Fruit Industries, poi, cercò di lanciare il prodotto anche a Chicago, dichiarando che Al Capone in persona li aveva minacciati di cacciarli da Chicago. L’azienda però annunciò fieramente che non si sarebbero lasciati intimidire. Molto probabilmente era solo un’astuta tattica promozionale.

Ma i dry come presero la cosa? Malissimo. Protestarono subito: era chiaro che quello era solo un escamotage per vendere vino. Solo che l’allora procuratore generale aggiunto Mabel Walker Willebrandt stabilì che il Volstead Act non vietava di vendere quella tipologia di prodotto, per cui al Bureau of Prohibition fu chiesto di non interferire con quella produzione.
Tuttavia il momento di gloria del wine brick era destinato a finire. Ad un certo punto Willebrandt si dimise dal governo, diventando però avvocato della Fruit Industries. Il conflitto di interessi divenne lampante, tanto che il governo iniziò a osteggiare maggiormente il Vine-Glo.
Nonostante i finanziamenti ricevuti, nel 1931 un giudice federale stabilì che il concentrato d’uva non poteva essere legalmente usato per produrre succo di frutta. E così la Fruit Industries dovette smettere di produrre il Vine-Glo. Anche il direttore dell’Ufficio del Proibizionismo confermò la decisione del tribunale, aggiungendo che da quel momento in poi il concentrato di uva non sarebbe più stato esente dall’articolo 29.




