Antiche reminiscenze dell’Odissea ci riportano alla mente Polifemo, il Ciclope ingannato e poi accecato da Ulisse, o se preferite, Odisseo. Ma chi era Polifemo? E perché se ne stava lì a pascolare le pecore? Domande più che lecite…
Vita, accecamento e origini di Polifemo

Partiamo dai genitori, come sempre. Polifemo era il figlio di Poseidone, il dio del mare fratello di Zeus e di Toosa, una ninfa marina. Era un Ciclope, una razza di giganti con un occhio solo dalla statura imponente e dalla forza notevole. Fondamentalmente, prima dell’arrivo di Ulisse, Polifemo se ne stava tranquillo su un’isoletta vicino all’Italia.
Viveva felicemente in una grotta insieme al gregge di pecore di cui si prendeva cura, producendo formaggi con il loro latte. La sua vita pacifica era però destinata a finire con l’arrivo di Ulisse.

Polifemo e Ulisse – L’Odissea di Omero racconta che Ulisse e il suo equipaggio, durante il turbolento e problematico viaggio di ritorno da Troia, finirono anche sull’isola dei Ciclopi. Spinti dalla curiosità, decisero di esplorare la terraferma. Si imbatterono così nella grotta di Polifemo. Non sapendo a quali pericoli sarebbero andati incontro, vi entrarono e decisero di usufruire delle scorte di cibo e delle risorse della grotta. La speranza era quella di ottenere ospitalità dal proprietario.
Ovviamente il Ciclope ritornò e scoprendo quegli intrusi nella sua dimora, intrusi che fra l’altro avevano saccheggiato le sue scorte, molto semplicemente sigillò l’ingresso della sua magione con un enorme masso. Poi divorò con la massima placidità due uomini di Ulisse, essendo arrivata l’ora del pranzo.
L’equipaggio tentò così di fuggire, ma niente da fare: quel masso era troppo grosso e solo Polifemo riusciva a spostarlo quando portava al pascolo le pecore. Così trascorsero i giorni, con Ulisse che elaborava un piano per sfuggire al Ciclope.
Fece ubriacare Polifemo col vino, fino a quando il Ciclope non cadde in un sonno profondo. Mentre il Ciclope dormiva, Ulisse e i suoi uomini intagliarono un palo appuntito da un albero di ulivo e lo riscaldarono col fuoco. Quando il Ciclope si svegliò, ecco che Ulisse e i suoi conficcano il palo nel suo unico occhio, accecandolo e causandogli un dolore terribile.
Polifemo iniziò così a urlare dal dolore. I Ciclopi vicini sentirono le urla e chiesero a Polifemo cosa ci fosse che non andava. Al che il Ciclope rispose che “Nessuno lo aveva ferito”. Il fatto è che Ulisse, all’inizio, non aveva detto al Ciclope il suo vero nome, ma aveva detto di chiamarsi “Nessuno”. Non sapendolo, gli altri Ciclopi pensarono che nessuno stesse facendo del male a Polifemo e se ne andarono via.
Intanto Ulisse e i suoi uomini approfittarono della cecità del Ciclope per legarsi sotto la pancia delle pecore. La mattina successiva, seppur accecato, Polifemo tolse il masso per permettere alle pecore di andare a pascolare. Le pecore uscirono, portando con sé Ulisse e il suo equipaggio abbarbicato sotto di esse.
Tornati sulla nave e salpati, Ulisse, con lievissima arroganza, decise di schernire ulteriormente Polifemo, rivelandogli la sua vera identità. Il che scatenò delle conseguenze inaspettate. Poseidone, il padre di Polifemo, venuto a sapere che Ulisse gli aveva accecato la prole, ecco che divenne nemico giurato dell’eroe di Itaca, impedendogli di tornare a casa. Diciamo che questa volta Ulisse non si comportò in modo molto furbo: ferire il figlio del dio del mare quando, per tornare a casa, doveva per forza navigare (Itaca è un’isola), non è la mossa del secolo.

Polifemo e Galatea – Polifemo compare anche nelle Metamorfosi di Ovidio. Anche qui Polifemo viveva in una grotta badando al suo gregge di pecore. Solo che questa volta si innamorò di Galatea, una bellissima ninfa.
Polifemo inizia così a corteggiarla, con tanto di dichiarazioni d’amore. Tuttavia Galatea lo snobba, visto che, fra l’altro, è innamorata del bel pastore Aci. Il Ciclope diventa così gelosissimo e, in un momento di rabbia assoluta, scaglia un’enorme pietra contro Aci, schiacciando a morte il pastore. A quanto pare per Polifemo i massi enormi erano la soluzione perfetta per ogni genere di problema.
Ad assistere all’accaduto, però, c’era Simeto, una divinità fluviale. Mosso a pietà, Simeto decise di trasformare il corpo senza vita di Aci in un fiume impetuoso, permettendo al suo spirito di vivere in eterno. Siccità e cambiamenti climatici permettendo, si intende.