Complice un rewatch della serie originale di Lady Oscar, ecco che ci è venuta la curiosità di saperne qualcosina di più sulla vera Jeanne Valois, nobildonna francese che ebbe un ruolo fondamentale nello scandalo della collana di Maria Antonietta.
Chi era veramente Jean Valois?

Jean Valois, all’anagrafe Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois e successivamente contessa di La Motte, nacque a Fontette il 22 luglio 1756 e morì a Londra il 23 agosto 1791. Era la secondogenita di Henry de Saint-Rémy, il barone di Luz e della moglie Marie Jossel. Faceva dunque parte dell’antica nobiltà francese, in quando discendeva da Enrico di Saint-Rémy, il figlio illegittimo di Enrico II e della di lui amante Nicole de Savigny.
Come spesso accadeva, però, alla patente di nobiltà non corrispondeva un’equivalente ricchezza. Jeanne, infatti, viveva in povertà. Nel 1760, per cercare di sfuggire ai creditori, i genitori si trasferirono a Boulogne, insieme ai figli maggiori Jacques e Jeanne. Lasciarono invece Marie-Anne, la figlia più giovane, insieme a un contadino. Ben presto però Jeanne rimase orfana: il padre morì nel 1761 e la madre l’anno successivo, subito dopo aver dato alla luce un’altra figlia, Marguerite.
Nelle sue memorie, Jeanne spiega che, mentre mendicava, incrociò la strada di Adrienne-Marie-Madeleine d’Hallencourt, la marchesa di Buolainvilliers. Ma probabilmente le sue memorie furono un po’ romanzate da lei stessa in quanto pare che, in realtà, fu il parroco di Boulogne a segnalare alla marchesa la situazione dei fratelli orfani. La marchesa, dopo essersi assicurata della veridicità del loro albero genealogico e della loro discendenza reale, acconsentì a prendersene cura. Anzi: i loro titoli reali furono riconosciuti e venne assegnato loro un mantenimento da parte del Consiglio reale delle finanze di Luigi XV. Questa era una pratica comune per i nobili caduti in povertà.
Jacques venne poi mandato in una scuola per ufficiali di marina, mentre Jeanne e Marie-Anne furono spedite presso il monastero delle Orsoline di Ligny-en-Barrois, a spese della marche. La piccola Marguerite, invece, morì di vaiolo. A 14 anni Jeanne divenne apprendista sarta, ma a 16 anni le due sorelle furono spostate all’abbazia di Notre-Dame d’Yerres per diventare suore. Poi si trasferirono nell’abbazia di Longchamp, ma quando la madre superiora le invitò a prendere i voti, ecco che le due sorelle fuggirono. Dopo aver alloggiato in una locanda fatiscente, trovarono rifugio dalla zia, Madame Clausse de Suremont, la moglie del governatore locale.
Qui Jeanne incontrò Jacques Claude Beugnot (successivamente divenne ministro), il quale si innamorò di lei. Ma l’idillio durò poco perché il padre del ragazzo lo spedì di corsa a Parigi per evitare complicazioni.
Sempre a casa della zia Jeanne conobbe Antoine-Nicolas de La Motte, ufficiale della gendarmeria e membro della piccola nobiltà di Champagne. I due si sposarono nel 1780. Ma nonostante il matrimonio, le condizioni finanziarie di Jeanne non migliorarono. Anche il marito, infatti, non aveva un grosso patrimonio. I due ebbero anche due gemelli, che però morirono dopo poche settimane.
Con il titolo di Conte e Contessa de La Motte, andarono a Luneville, dove il marito si riunì al suo reggimento. Ma i soldi non bastavano mai e per sopravvivere i due si dedicarono a truffe e prestiti. Nel 1781 Jeanne incontrò la sua precedente mecenate, la marchesa. Fu quest’ultima a presentarla al cardinale Louis-Rene-Edouard de Rohan. Grazie alle raccomandazioni del cardinale, il marito di Jeanne ottenne un posto nella guardia del Conte Artois. Accidentalmente o meno, il titolo di conte fu inserito nel certificato di nomina. E così i due divennero ufficialmente Conte e Contessa de La Motte.

Trasferitisi a Parigi, i due continuarono ad accumulare debiti. Si dice che Jeanne cercasse di incontrare la famiglia reale, forte delle sue origini, ma fu sempre ostacolata. Anche dalla duchessa di Polignac. Inseguiti dai creditori, i due si trasferirono più volte, portandosi appresso i mobili per paura di un pignoramento. E questo nonostante Maria Giuseppina di Savoia avesse interceduto per aumentare la pensione di Jeanne. La situazione finanziaria divenne così grave che Jeanne, nel 1784, vendette il suo diritto alla pensione annua.
Nel frattempo, fra una truffa e l’altra, Jeanne era diventata anche l’amante del cardinale Rohan. E si arriva così all’affare della collana. Il cardinale discendeva da una delle famiglie più antiche e illustri di Francia, era elemosiniere e persona di spicco. Ma aveva un grande cruccio: Maria Antonietta non lo sopportava.
Il cardinale cercò di riparare in ogni modo, ma niente da fare: dalla sovrana proveniva solo disprezzo. Jeanne decise di sfruttare questa situazione a suo vantaggio. Fingendosi la regina, iniziò una fitta corrispondenza con Rohan. Fece credere al cardinale di averlo perdonato e che sarebbe rientrato fra i suoi favoriti.
Nel frattempo, sempre fingendosi la regina, chiedeva al cardinale grosse somme di denaro. Il cardinale pensava di donarle alla regina a scopo di beneficenza, ma in realtà tutti quei soldi finivano nelle tasche di Jeanne. La donna li usava per pagarsi i debiti e per vivere nel lusso.
Ma Jeanne andò oltre. Assoldò una donna di Parigi, famosa per la sua somiglianza con la regina e la fece incontrare a Rohan nei giardini di Versailles. Poi Jeanne fece credere al cardinale che la regina volesse comprare una preziosa collana di diamanti che i gioiellieri Boehmer e Bassenge stavano da tempo cercando di vendere alla regina. Ma Maria Antonietta si era sempre rifiutata in realtà di comprarla, per via del costo esagerato.
Il cardinale, intortato come non pochi, si convinse a comprare la collana e, fungendo da intermediario, la acquistò per 1.6 milioni di livre. In tutto ciò Jeanne aveva truffato pure i gioiellieri. Sempre servendosi di una falsa corrispondenza, ecco che i due pensavano che il cardinale agisse veramente per conto di Maria Antonietta. Così i gioiellieri consegnarono l collana al cardinale nel 1785, convinti che la regina l’avrebbe pagata a rate. Costui, poi, la diede a Jeanne.
Ovviamente Jeanne e il marito iniziarono a smontare la collana per venderne i diamanti, danneggiandoli fra l’altro. Cercarono di vendere le pietre a Parigi, ma i compratori, pensando a merce rubata, non acquistarono le pietre preziose. Inizialmente, visto che non c’era nessuna denuncia di furto, i due poterono agire indisturbati. Nicolas de La Motte, poi, non riuscendo più a trovare compratori a Parigi, si recò a Londra, dove ebbe maggior successo. Anzi: la coppia riuscì a saldare la maggior parte dei debiti.

Solo che la truffa stava per essere svelata. I gioiellieri, infatti, non vedendo arrivare i pagamenti pattuiti dalla regina, andarono a parlare direttamente con la sovrana, spiegandole che non aveva rispettato le scadenze dei pagamenti. Al che Maria Antonietta trasecolò: lei non aveva acquistato nessuna collana. Anzi, quella collana non le era mai interessata. Così la truffa venne allo scoperto.
Luigi XVI fece arrestare Rohan e lo fece chiudere nella Bastiglia. Stessa sorta toccò a Jeanne, che si era rifugiata nei suoi possedimenti. Il marito riuscì a scappare in Inghilterra. Arrestati anche i complici di Jeanne, ovvero Marc Antoine Rétaux de Villette, che aveva scritto le false lettere e Marie-Nicole Leguay, che si era finta la regina.
Il processo arrivò nel 1786. Jeanne continuò a negare ogni coinvolgimento, sostenendo che fossero stati Rohan e Cagliostro a orchestrare tutto. Tuttavia le accuse che Jeanne mosse a Rohan erano così assurde che alla fine la contessa finì col fare l’opposto di quanto si era prefissata. In pratica riuscì, suo malgrado, a far scagionare il cardinale.
Rohan e Leguay, infatti, furono riconosciuti innocenti. Anche se Rohan dovette andare in esilio. Jeanne, invece, fu ritenuta colpevole. Pertanto venne pubblicamente frustata e marchiata sulle spalle con due V incise a fuoco. Poi sarebbe dovuta tornare nella prigione delle Salpetrière per scontare l’ergastolo.
Jeanne, per evitare la punizione, cercò di suicidarsi, ma non ci riuscì. Per tenerla ferma e marchiarla, ci vollero ben quattro uomini. E anche così il ferro del boia scivolò e le V furono marchiate sul petto. Jeanne perse i sensi e così la trasportarono incosciente in prigione.
Qualche mese dopo, i compagni di prigionia le dissero che qualcuno stava organizzando la sua fuga dalla prigione. Forse fu il segretario del cardinale Rohan a orchestrare la fuga o forse no. Comunque sia, insieme a Marianne, una compagna di prigionia, Jeanne riuscì a scappare. Travestita da uomo, arrivò in Lussemburgo e infine approdò a Londra.
Durante tutte le vicende giudiziarie che l’avevano vista coinvolta, Jeanne aveva pubblicato le sue memorie che erano diventate un best-seller. Tanto che il re ordinò di distruggere il volume. Giunta a Londra, decise di pubblicare una seconda autobiografia. Nel libro continuava a protestare la sua innocenza.
Ma anche qui, Jeanne ricadde nei vecchi vizi. Di nuovo piena di debiti, cercò di sfuggire ad alcuni ufficiali giudiziari inviati da un creditore. Nel corso del tentativo di fuga, si buttò da una finestra. Solo che cadde malamente e si ruppe entrambe le gambe e il bacino. Morì dopo qualche settimana di agonia a causa delle ferite subite.