Fotografia di Amit Shabi, Gerusalemme Est, 13 ottobre 2000. Un soldato di frontiera israeliano litiga con un civile palestinese nella Città Vecchia di Gerusalemme. Al fedele musulmano fu impedito di entrare nella moschea di al-Aqsa per la preghiera del venerdì santo durante il Ramadan. Le forze di sicurezza israeliane avevano l’ordine di non far oltrepassare il varco per il luogo sacro a tutti i fedeli sotto i 45 anni d’età. Una contromisura scaturita dai disordini scoppiati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza durante la Seconda Intifada. Motivazioni cronologicamente giustificate, ma dietro l’accesso negato c’era molto di più…

Amit Shabi, che all’epoca lavorava per il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth (di orientamento moderato) scattò questa potente fotografia, immortalando le due aspre reazioni umane dopo il già citato “accesso negato”.
La fotografia divenne famosa in tutto il mondo per l’intensità emotiva e la rappresentazione umana del conflitto. Venne ripresa ovunque e riproposta anche a seguito degli eventi raffigurati. Erano quelli gli albori della Seconda Intifada, scoppiata due settimane prima, nel settembre del 2000.

La fotografia partecipò al concorso World Press Photo, arrivando in seconda posizione nella categoria “Notizie generali”. Non conosciamo l’identità delle persone catturate in foto, ma non è necessario saperla, perché il punto focale dello scatto è ravvisabile nelle loro emozioni, identiche eppure contrastanti.
Il soldato mostra intensità e rabbia; il civile non si sottrae al confronto. Lo scatto coglie un momento di sfida viscerale. Shabi successivamente racconterà: «Non stavano combattendo fisicamente. Urlavano, si fronteggiavano, ma nessuno toccò l’altro. Per me era la guerra racchiusa in un istante».

Come già detto più volte, la fotografia simbolo delle prime fasi della Seconda Intifada – scoppiata a seguito della controversa visita di Ariel Sharon nella Spianata delle Moschee, a Gerusalemme – divenne virale. Alcuni, chissà se in buona o cattiva fede, distorsero il significato dell’immagine stessa, raccontando che i due soggetti, schiumanti di rabbia, altro non fossero che padre e figlio. La versione circolò abbastanza prima che si affermasse la smentita.